Il sorriso nei neonati: quando e come nasce

Quando appare il sorriso nei neonati?

Il primo sorriso del proprio bambino è una di quelle cose che rimangono impresse nella mente dei genitori per anni.

Alcuni giurano di averli visti sorridere già in sala parto: “Te lo assicuro, appena l’ho preso in braccio mi ha sorriso!”.

Alcuni ricordano con tenerezza il sorriso da latte, quel sorriso soddisfatto che si apre sul volto dei piccoli dopo che hanno mangiato e stanno per addormentarsi.

Per altri, invece, il primo sorriso è arrivato dopo: “L’altro giorno sono entrata in camera e Gabriele era sveglio. Appena mi ha visto ha sorriso, non sai che emozione!”. Ma, quindi, chi ha ragione? Tutti!

Quando nasce il sorriso nei neonati

I bambini, infatti, allenano il riflesso al sorriso già durante il terzo trimestre di gravidanza. Dopo la nascita e nei primi mesi, dunque, il sorriso è già presente!

Con il passare dei mesi, però, questo sorriso cambia. Da semplice riflesso (sorriso endogeno) si trasforma in una risposta a stimoli fisici piacevoli (sorriso esogeno) fino a sfociare, intorno al terzo mese di vita del bambino, nel vero e proprio sorriso intenzionale, relazionale e comunicativo (sorriso sociale) che utilizziamo anche noi adulti.

Ti vedo, ti riconosco, voglio entrare in comunicazione con te e per farlo ti sorrido.

Il ruolo del caregiver

Questa è la natura, un meccanismo biologicamente innato, che  vale per tutti allo stesso modo. Ma nella sua evoluzione quanto pesa il ruolo del caregiver, in particolar modo della madre?

Moltissimo. Se, difatti, è vero che tutti i bambini (sani) nascono con questo riflesso, è pur vero che per imparare a utilizzarlo per comunicare con il mondo esterno hanno bisogno che qualcuno glielo insegni.

E dal momento che i bambini imparano per apprendimento implicito (vale a dire con l’esempio), c’è un solo modo per insegnare ai bambini a sorridere: sorridergli.

Mirroring

C’è quel famoso detto, lo conoscete? “La vita è come uno specchio, ti sorride se la guardi sorridendo”.

Ecco, lo stesso vale anche per i bambini. Per questo motivo ai bilanci di salute con il pediatra, oppure al consultorio o in ospedale, le mamme sentiranno spesso ripetere di guardare spesso il bambino e sorridergli.

Fare il cosiddetto mirroring, occhi negli occhi, per attivare i neuroni specchio. Quando una mamma (o un papà o chiunque si occupi del bambino) gli sorride, guardando quel sorriso il bambino attiva i propri neuroni specchio e, per imitazione, sorride a sua volta.

Sempre per questo motivo le mamme, che nei primi mesi sono statisticamente le persone che passano più tempo con i bambini, dovrebbero curare la propria felicità e non andrebbero lasciate sole per evitare che stanchezza e malumore influiscano sul loro relazionarsi con il bambino.

NON è vero, come ancora spesso si sente dire, che i neonati  semplicemente “mangiano, dormono e vanno di corpo”. Così come NON è vero che non capiscono chi (e come, soprattutto) si prende cura di loro.

I neonati, così come i lattanti e più avanti i bambini, hanno bisogno di contatto, di contenimento, di amore e di attenzioni. Non di gesti meccanici e ripetitivi, ma di reale cura.

I rischi del cosiddetto baby blues o di una vera e propria depressione post parto, tra gli altri, includono anche una mancata o sbagliata interazione tra mamma e bebè che può rallentare lo sviluppo, nel bambino, di una sana regolazione emotiva.

Tornando al sorriso, è vero, come dicevamo all’inizio, che già a partire dai due mesi circa i bambini sono fisiologicamente in grado di distinguere le espressioni del volto associandole ad uno stato emotivo su cui regolare la loro risposta emotiva.

Sarà, però, solo la presenza  di un caregiver sensibile e responsivo che fornirà loro la struttura esterna di cui hanno bisogno per trasformare in modo permanente e consapevole la regolazione emotiva diadica (gestita dall’adulto) in una sana ed efficiente autoregolazione.

L’esperimento della still face

Per chi avesse voglia di approfondire l’argomento, è molto interessante il paradigma della Still-Face (o paradigma del volto immobile), risultato di un esperimento ideato negli anni ’70 da Ed Tronick.

L’esperimento si divide in tre momenti: una normale interazione madre-figlio, con sorrisi, sguardi e vocalizzi materni. Un secondo momento in cui la madre, assumendo una espressione del volto neutra e impassibile, taglia la comunicazione con il piccolo. Infine un episodio finale in cui la madre ripristina la comunicazione con il bimbo.

Osservando il video è evidente come, di fronte all’ inespressività del volto materno, il bambino provi disperatamente a ripristinare la situazione di partenza. Accentua i sorrisi e le vocalizzazioni per poi fare ricorso a condotte di auto-regolazione emotiva per sottrarsi al disagio che sta provando.

Evita lo sguardo della mamma e guarda altrove, si tocca le mani, la testa e si stropiccia i vestiti. I risultati ottenuti mostrano molto chiaramente come l’indisponibilità emotiva materna aumenti visibilmente stress e disagio emotivo del bambino.

Quindi, la prossima volta che sentirete qualcuno dire “Smettila di dedicarti sempre al bambino, che così si vizia, poi non te ne liberi più” sorridete e, come Dante, passate oltre senza curarvi di loro.

Buoni sorrisi a tutti!

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Giulia Fermani

Sono una giornalista e mamma di due bambini, mia quotidiana fonte di ispirazione professionale e aspirazione ad essere sempre la versione migliore di me. Sono un istruttore di manovre di disostruzione e prevenzione degli incidenti in età pediatrica (anche se attualmente ancora in congedo di maternità) e mi sto formando come puericultrice. Proprio grazie a questo percorso ho iniziato una collaborazione con uno studio pediatrico, con l’obbiettivo di dare vita a un ambulatorio multidisciplinare per la Nurturing Care. Sono qui per condividere le mie esperienze e quello che sto studiando, nella speranza di aiutare i genitori a vivere al meglio l’esperienza della genitorialità, fornendo loro gli spunti e gli strumenti fondamentali per prendersi cura di quanto di più prezioso ci sia al mondo: i bambini.

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